Abbiamo lasciato Jay e compagni carichi di idee e di entusiasmo, ma senza ancora niente di concreto in mano.

In questo post della serie A History of the Amiga, Jeremy Reimer di Ars Technica ci parla di come l'hardware Amiga cominciò a prendere forma, tra taglieri per il pane, spaghettate di cavi e con il fondamentale contributo del cane di Jay Miner. Il testo originale, al solito, è disponibile qui.

PROTOTIPARE L'HARDWARE

I chip moderni sono progettati usando potenti workstation su cui girano costosissimi programmi che ne simulano il funzionamento, ma la traballante Amiga Inc. non poteva permettersi lussi del genere. Piuttosto, si sarebbero costruite, a mano, delle versioni giganti della circuiteria di silicio, usando delle basi di plastica caratterizzate da un gran numero di fori sulla loro superficie, conosciute come breadboard o basette sperimentali (alla lettera, in inglese breadboard significa "tagliere per il pane").

Ancora oggi gli hobbysti usano le breadboard per costruire e testare rapidamente i circuiti più semplici. Il funzionamento di queste basette è elementare. Le breadboard consistono in una griglia di piccole prese metalliche disposte su un'ampia base di plastica. Sul fondo di questa base, le sottili strisce metalliche con cui finiscono le prese sono collegate tra di loro secondo uno schema preciso, per far sì che determinate serie di prese funzionino come una sola. Per realizzare le connessioni vengono usati piccoli cavi elettrici, misurati e tagliati con precisione e piegati a U, con le parti esposte lunghe il minimo necessario perché si inseriscano in modo pulito nelle prese. Anche per simulare i chip più piccoli, in grado di svolgere solo le operazioni logiche più semplici (come confrontare o sommare due numeri in codice binario), è necessario usare quasi tutte le connessioni della breadboard, che così diventa simile ad un millepiedi a causa dei numerosi pin metallici che finiscono per occuparne l'intera estensione.
Il prototipo Lorraine, con tre "chip" custom, immagine tratta da The Secret Weapons of Commodore
All'epoca, nessuno aveva mai progettato un personal computer in questo modo. La maggior parte dei personal computer, come l'IBM PC e l'Apple ][, non aveva chip custom al suo interno. L'unico tratto distintivo di queste macchine era la scheda madre, che definiva le connessioni tra la CPU, i chip di memoria, il bus di input/output ed il display. Schede madri di questo tipo potevano essere disegnate su carta e trasformate direttamente in circuiti stampati, pronti ad ospitare chip di serie. Alcune, come quella del prototipo dell'Apple ][, furono progettate da una singola persona (da Steve Wozniak nel caso di Apple) e realizzate a mano.

L'Amiga non era niente di simile. Concettualmente era più vicino ai minicomputer dell'epoca - macchine enormi, grandi come frigoriferi, come il PDP-11 ed il VAX della DEC o l'Eagle della Data General. Questi computer venivano progettati e prototipati tramite gigantesche breadboard su cui lavoravano interi team di ingegneri esperti. Ognuno di questi computer era diverso e doveva essere progettato da zero, senza usare chip già disponibili sul mercato - non diversamente da ciò che si stava facendo con l'Amiga, anche se, per onestà, bisogna dire che mentre l'Amiga avrebbe adottato il Motorola 68000 come unità centrale, per i minicomputer gli ingegneri dovevano progettare anche la CPU, il che già di per sé richiedeva un impegno non indifferente! Queste macchine venivano vendute singolarmente a cifre che ammontavano a centinaia di migliaia di dollari, cifre che poi servivano in parte a pagare gli stipendi di tutti gli ingegneri che c'erano voluti per crearle. Il team dell'Amiga doveva fare la stessa cosa, ma per un computer che alla fine sarebbe stato immesso sul mercato ad un prezzo inferiore ai 2000 dollari.

Quindi, nell'Amiga c'erano questi tre chip custom, e per simularne il funzionamento ci vollero per ciascuno di essi otto breadboard - ognuna delle quali misurava circa 90x45 centimetri - disposte verticalmente a raggiera in modo che tutti i cavi di massa potessero passare per il centro. Su ogni board c'erano circa 300 chip logici MSI (Medium Scale Integration, a integrazione di scala media), per cui in quel momento il chipset custom dell'Amiga era costituito da circa 7200 chip e da un numero assurdo di cavi a collegarli. Costruire e debuggare questo labirinto di chip era un compito che richiedeva estrema precisione e spesso finiva per essere stressante. Un cavo poteva allentarsi e perdere la connessione. Un cacciavite poteva scivolare tirandosi dietro dozzine di cavi e con loro intere giornate di lavoro. Peggio ancora, un pezzetto di cavo poteva finire in mezzo al groviglio, causando errori casuali e inspiegabili.

Eppure, Jay non permise mai che il crescente stress influenzasse lui o i suoi colleghi. Gli uffici Amiga erano un posto in cui si lavorava in maniera rilassata e informale. A Jay e a Dave Morse non importava come uno si vestisse o si comportasse: bastava che sapesse fare il suo lavoro. Jay stesso portava il suo amato cane, Mitchy, al lavoro. Lo faceva sedere di fianco alla sua scrivania ed aveva una targa col suo nome fatta apposta per lui.

Mitchy dava anche una mano a Jay nella progettazione. A volte, quando si progetta un circuito logico complesso, si arriva a dei punti in cui si può procedere in un modo o in un altro, ed entrambi sono equivalenti. Si può trattare di scelte riguardanti l'estetica del circuito, o di alternative nate da una nebulosa intuizione, ma in ogni caso è difficile lasciare che a decidere sia il puro caso. In queste situazioni, Jay guardava Mitchy e, a seconda di come Mitchy reagiva, Jay sceglieva come andare avanti.

Lentamente, i chip custom dell'Amiga cominciavano a prendere forma. Collegata alla CPU Motorola 68000, le breadboard potevano simulare in modo accurato il funzionamento dell'Amiga definitivo, anche se non con la velocità del prodotto finale. Ma un computer, non importa quanto avanzato, non è altro che uno stupido ammasso di chip, se non esiste del software che ci giri sopra.

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