Mentre il mondo cominciava a conoscerlo e apprezzarlo grazie al suo Preacher, Garth Ennis si mise contemporaneamente al lavoro su una serie ambientata (pur se in maniera abbondantemente lasca) nell'universo DC classico. Hitman rappresenta in un certo senso l'altra faccia della medaglia, il lato più ironico e spensierato dell'autore irlandese, anche se ovviamente non disdegna i momenti di peso...

I punti di contatto tra le due serie non mancano, e del resto sono topoi ingranati nella scrittura di Ennis: le bevute al pub, il cameratismo maschile, i racconti di guerra, e così via... tutto l'armamentario standard ennisiano. In Hitman però c'è una libertà nella narrazione e nella scelta degli elementi delle storie che nelle avventure di Jesse Custer manca, e soprattutto, come già detto, ci si prende molto meno sul serio.

Anche se poi, alla fine, Ennis riscopre sempre il suo cuore tenero, e puntualizza come le battute e il cameratismo e le pose da duro siano in realtà una roba molto di facciata per gente che, alla fine, si rende conto di non star messa mica così tanto bene. Ma sono pensieri passeggeri, che volano via nel giro di una pinta di birra.

Per il resto ben scritto, ben ideato, ben ritmato, una serie regolare di 61 numeri che uno tira via l'altro, più qualche spin off e speciale tanto per rimpolpare. Più che consigliato.

La solita poetica del pub di Ennis

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