Jordan Mechner è uno dei migliori game designer occidentali, ma il suo nome non è mai stato eccessivamente famoso - forse perché è anche uno dei game designer meno prolifici che esistano, per quanto tutti i suoi titoli, nessuno escluso, siano diventati dei classici. Il suo primo gioco fu Karateka, che uscì originariamente in versione Apple II nel 1984.

Come riporta nel suo blog, a quell'epoca Jordan frequentava un corso di storia del cinema, e voleva implementare tecniche quali rotoscopia, carrellate e tagli incrociati in un videogioco. Quel videogioco finì per essere un semplice picchiaduro a scorrimento, un po' sulla falsariga di Kung-Fu Master, in cui si impersona un esperto di karate impegnato a combattere contro una serie di avversari a cui fa capo un signore della guerra (siamo nel Giappone feudale) che ha rapito una principessa (ovviamente da liberare).

Il gameplay di Karateka è all'apparenza semplice quanto la sua trama: si possono tirare pugni o calci a tre diverse altezze, ci si può spostare a destra e a sinistra, e si può passare dalla posizione di guardia ad una in cui invece si può correre. Completa l'elenco la possibilità - quando non si è in guardia - di fare un inchino di saluto.
Gli inchini si sprecano: qui il boss (che per inciso si chiama Akuma e ama mostrare la sua possente schiena proprio come la controparte Capcom) manda uno scagnozzo a comprargli del sushi
Un numero limitato di mosse, che però si possono combinare in mille maniere diverse, collegandole tra di loro e con gli spostamenti, che giocano un ruolo fondamentale nei combattimenti. Mechner voleva fare un gioco che fosse subito accessibile - e così fu.

Karateka ha una giocabilità immediata e al contempo non banale, ma sono altri i motivi che lo rendono un classico. Anzitutto le animazioni: i personaggi sono animati da un numero notevolissimo di frame, e ciò permette passaggi fluidi da un movimento all'altro, e diverse varianti delle animazioni dei colpi a seconda che vengano sferrati da fermi o mentre ci si muove.
Il protagonista in posa plastica mentre un lapillo incendiato proveniente dal monte Fuji sullo sfondo gli atterra sul piede
Il vero valore aggiunto però viene dalle conoscenze cinematografiche di Mechner. Il gioco usa molte tecniche comuni nei film - anzitutto i tagli incrociati. Quando appare un nuovo avversiario (li si affronta uno alla volta) l'inquadratura si sposta su di lui, e lo segue mentre corre per raggiungerci. Nel frattempo si mantiene comunque il controllo del protagonista, sul quale dopo un po' torna l'inquadratura. A questo punto possiamo cominciare a correre: dopo un po' l'inquadratura tornerà sull'avversario, che starà ancora correndo, finché sia lui che il protagonista non saranno finalmente abbastanza vicini da essere inquadrati insieme.

Insomma Mechner ha usato una tecnica cinematografica - mostrare due azioni contemporanee passando dall'una all'altra a intervalli - che viene usata nei film per aumentare la suspance. Solo che è riuscito ad usarla in un gioco, dove bisogna tener conto delle infinite variabili derivanti dall'interazione con il giocatore. Altri dettagli contribuiscono a creare il feeling cinematografico: quando si riceve un colpo che fa scendere l'energia sotto il livello di guardia, parte un breve motivetto musicale che, coi suoi toni cupi, segnala questa situazione di pericolo.

Sono presenti anche diverse scene di intermezzo, tutte molto espressive, per quanto prive di dialoghi - evidente derivazione degli studi di Mechner, che in quel periodo comprendevano anche il cinema muto. Queste pause nell'azione sono concise e significative, e non tolgono mai il controllo al giocatore per troppo tempo. Le scene d'intermezzo sono anche gli unici momenti in cui si ha un accompagnamento musicale - il gioco in generale è piuttosto silenzioso e si basa solo sugli effetti sonori, ma tutto ciò rende ancora più significativi i momenti musicali - che siano nelle scene di intermezzo, o che si tratti di brevi motivetti per sottolineare momenti particolari durante il gameplay.
In questa scena Akuma manda in castigo la principessa perché gli ha spammato sulla parete della sua Stanza Imperiale il sito da cui è tratto questo screenshot
Karateka è anche un gioco ricco di dettagli: all'inizio dell'avventura, il protagonista ha appena finito di arrampicarsi su un dirupo per raggiungere la fortezza nemica, ma se si torna indietro invece di incontrare qualche barriera invisibile semplicemente si casca di sotto e parte il THE END. Quando si incontra un nemico, se gli si fa l'inchino, lui risponderà - ma per fare l'inchino bisogna abbassare la guardia, cosa che rende estremamente vulnerabili: mentre si corre, si fa l'inchino, o si è in piedi con la guardia abbassata, basta un colpo dell'avversario per il game over.

Queste finezze aumentano esponenzialmente l'immedesimazione del giocatore, che si ritrova in un mondo digitale "denso", con una struttura chiara e semplice, ma declinata a 360 gradi.Karateka non dà mai l'idea di essere stato "costruito", non c'è la sensazione che grafica, sonoro, trama e gameplay viaggino su binari differenti o siano comunque a compartimenti stagni. La sensazione è piuttosto che ogni elemento sia stato pensato in relazione a tutti gli altri, facendo riferimento ad un progetto complessivo sviluppato in maniera organica.

È questo che rende Karateka un classico: l'essere il compimento di una visione curata in ogni dettaglio. Oggi il titolo è quasi ingiocabile per la sua lentezza - ma anche solo osservandone un longplay non si può fare a meno di notare tutta la cura che è stata riposta nella sua realizzazione, e soprattutto la genialità e l'innovatività di certe scelte. E poi si può sempre provare a far girare il gioco in emulazione con le CPU del C64 "virtuale" overclockate...
Grazie ai bellissimi colori CGA, la versione PC era come al solito quella più psichedelica
PRO:
Perfetta sintesi di grafica, sonoro, trama e gameplay
Giocabilità semplice e immediata, ma anche profonda
Pieno di dettagli e finezze

CONTRO:
Lento, lento, lento...
A volte punitivo come solo i giochi d'altri tempi sapevano essere...
Non lo stato dell'arte dal punto di vista tecnico

GIUDIZIO FINALE: 6+++
Troppo ingiocabile per gli standard odierni, ma in design il voto è un 10 tondo.

BONUS 1 LONGPLAY EDITION:
La soluzione ai problemi di ingiocabilità:


BONUS 2 WORDS OF WISDOM EDITION:
I 20 comandamenti del game designer secondo Mechner (qui in originale):
  1. Realizza un prototipo e testa gli elementi chiave del gioco appena possibile.
  2. Crea il gioco a passi incrementali - Non fare progetti troppo grandi fin dall'inizio.
  3. Man mano che procedi, rafforza ciò che va bene, e taglia le parti deboli.
  4. Sii aperto nei confronti dell'inatteso - Sfrutta al massimo le proprietà emergenti.
  5. Tieniti sempre pronto a vendere il tuo progetto così com'è durante ogni fase del lavoro.
  6. È più difficile vendere un'idea originale che vendere un sequel.
  7. Team più grandi e budget più elevati significano più pressioni per rispettare le scadenze.
  8. Non investire in un sistema di sviluppo troppo al di là delle tue necessità.
  9. Assicurati che il giocatore abbia sempre un obiettivo (e sappia di cosa si tratta).
  10. Dai al giocatore un feedback costante che gli comunichi se si sta avvicinando all'obiettivo o se se ne sta allontanando.
  11. La storia dovrebbe supportare il gameplay, non il contrario.
  12. Il momento in cui finalmente il gioco è ad un punto tale da poter essere giocato, è il momento della verità. Non sorprenderti se non è divertente come ti aspettavi.
  13. A volte un semplice trucco è meglio di una soluzione impegnativa.
  14. Ascolta la voce della critica - Ha sempre ragione (devi solo capire in che maniera).
  15. La tua visione originale non è sacra. È solo una bozza primitiva.
  16. Non farti spaventare dalla possibilità di prendere in considerazione GROSSI cambiamenti.
  17. Quando scopri qual è il cuore del gioco, proteggilo fino alla morte.
  18. Per quanto tagli, non sarà mai abbastanza.
  19. Metti da parte il tuo ego.
  20. Nessuno sa cosa possa avere successo.