Nelle puntate precedenti: al raggiungimento della famosa pubertà, tra un Teletutto ed una qualche (ormai) insoddisfacente puntata di MacGyver, trovai pane per i miei denti nell'arco di tre ere diverse all'interno della magione più famosa della storia Lucas. Non sapevo che fosse il seguito del gioco che ha inventato lo Scumm, ma la sensazione di avere tra le mani qualcosa di fantastico era palpabile.

Purtroppo le avventure che mi erano state regalate insieme a mille altri giochi quando comprai il mio primo IBM compatibile erano finite, urgeva un passaggio dallo spacciatore videoludico di fiducia.

"Babbo, mi porti da Giovagnoli che voglio vedere se ci sono giochi nuovi?".
"Non so come dirtelo... Giovagnoli ha chiuso!".
"E quando riapre?".
"Ha chiuso... per sempre. Non riaprirà mai più!".

Terrore, sgomento. Un brivido lungo la schiena. Non è possibile, come fa a chiudere un negozio così bello?
"E adesso?"
In realtà, il negozietto in questione era un buco, qualcosa dalle dimensioni del banco del McDonald (ovviamente senza cucina), il tipico posto super nerd male illuminato, con delle vetrine bruttissime in cui facevano brutta scena le fotocopie delle recensioni di chissà quale rivista e i vergognosissimi poster della Ocean attaccati sui muri col nastro adesivo ingiallito dal fumo. Eh sì, perché quello era ancora un tempo in cui si poteva fumare ovunque, ognuno faceva quello che gli pareva, e il buon vecchio Giovagnoli non faceva eccezione. C'era anche una porta, misteriosa, dietro la quale mi capitò di scorgere una volta una specie di mini laboratorio, probabilmente il magico luogo dove copiava i floppy dell'Amiga con X-Copy, ma non posso giurarci.
Lo spazio era quello di questo bancone. Ma senza incentivi per i clienti. E senza birra.
Purtroppo, o per fortuna, da quando abbandonai il computer Commodore a quando terminai di provare tutti i 300 floppy per pc forniti, passarono almeno un paio d'anni. Così, non potei mai scoprire se Giovagnoli si fosse mai avvicinato al mondo dei PC. Ormai al suo posto c'era un cantiere che ambiva ad ingrandire l'hotel accanto.

Notando la mia delusione, mio padre decise di dirmi qualcosa di cui si sarebbe presto pentito: ti porto da un'altra parte, c'è un nuovo negozio poco lontano.

E fu così che mi trovai, con espressione incuriosita, a visitare l'indimenticabile MEGABYTE INFORMATICA, un negozietto sulla superstrada che sarebbe stato il mio punto di riferimento per almeno un tris di anni.

Il posto non era grandissimo, ma al solo aprire la porta si veniva investiti dall'odore di computer, dal profumo di cartonati e dal retrogusto di asfalto che entrava dalla finestra perennemente aperta. Il posto era molto soleggiato, e la vetrina era sempre aggiornata con le ultime novità hardware e software, ma all'interno tutto era esattamente come piace a me: un casino porco!
"Prego entrate, non fate complimenti!"
Dischi dappertutto, joystick, tastiere, monitor e altre periferiche sparse su tavolini, mensole e sgabuzzini. C'erano talmente tante cose da ritrovarmi avvolto dalla mania del tocco, pratica che probabilmente non era molto gradita ai due ragazzi dietro al tavolino della cassa.

Non mi trovavo dentro a un vero e proprio negozio: ero dentro un magazzino/laboratorio/vetrina, e quindi avevo davanti agli occhi tutto, dallo specialista che montava computer all'ennesima versione di Dragon's Lair che girava sul monitor grande.


"Anche io da grande voglio fare il programmatore!" Questo era ciò che pensavo. Non avevo idea che aprire un negozio di computer non significava saper programmare.

Era già passata un'ora e ancora non avevo scelto un gioco. Il venditore mi propose giochi per l'Amiga, cercò di sbolognarsi qualche invendibile periferica spacciandola per indispensabile risorsa di gioco e mi mostrò la sua lista di giochi copiati per pc, ma ad ogni riga corrispondeva un mio ce l'ho!
Tra gli invenduti l'avveniristico Quickshot per c64
Fu allora che gli feci la domanda fatidica: "Vorrei qualcosa alla Monkey Island", e il venditore, finalmente contento di aver capito cosa propormi, mi indicò una vetrina chiusa, dietro la quale c'era una scatola con disegnati due animali e con scritto Sam & Max Hit the Road.

Mio babbo, per velocizzare la transazione, chiese Quanti dischi è?, ma scrollando la testa il venditore gli disse che aveva solo la versione CD, e copiare i CD ancora non era una pratica diffusa. Era chiaro, ormai, che se avessi voluto quel gioco, avrei dovuto comprarlo originale.

Mio padre è sempre stato attento alle spese, e 99mila lire in un  videogioco, quando in tutta la sua vita non aveva mai speso oltre i 5mila a floppy, era una cifra che non poteva nemmeno essere ammortizzata come anticipo dei regali di natale, promozione e compleanno.

Fu così che quell'estate, per la prima volta in vita mia, feci qualcosa che si avvicinava vagamente all'idea di lavorare: per 3 giornate diedi la mia disponibilità a stare tutto il giorno (15 ore) alla pesca de La festa della birra, a quei tempi famosissimo e seguitissimo evento che avveniva nella piazza dove abito.

Un po' vendendo i buoni pasto che mi venivano dati dalla direzione, un po' perché i miei genitori apprezzarono lo sforzo, arrivai a quelle famose 99mila lire e riuscii a permettermi quell'ambito acquisto.
Sempre interessanti gli spettacoli dopo la mezzanotte
In un solo colpo ebbi il mio primo lavoro, feci il mio primo acquisto con soldi guadagnati e comprai per la prima volta un gioco originale. Ora mi mancava solo una cosa: provare il mio primo gioco doppiato in italiano!

Installai finalmente il gioco e... quasi mi misi a piangere. Dov'era il mio amato menù Scumm? Che era quel sistema di gioco strano?

Quasi 50 euro del nuovo conio buttati in un gioco che non mi stava piacendo. Avrei avuto il potere di accantonarlo subito, ma si sa, dietro ad ogni potere c'è sempre una grossa responsabilità, e non avevo il minimo coraggio di combattere con i sensi di colpa dell'avere fatto tanta fatica per qualcosa che non sembrò all'altezza delle aspettative.

Così ci riprovai e, convincendomi che il doppiaggio mi sarebbe dovuto bastare come scusa, proseguii nella storia. Una storia che in realtà non si presentò subito. Anche ripensandoci, mi vengono in mente giusto pochi flash di tracce da seguire, che solo dopo qualche ora di gioco portavano a dare un senso a tutte le vicende.
"Ma che cavolo è il Lincoln Tunnel?"
Fondamentalmente il gioco consiste nel ritrovare un Big Foot scomparso, e per farlo si seguono i vari indizi raggiungendo i più svariati e improbabili posti. Anche questa volta Lucas indirizzò tutte le proprie capacità verso un titolo completamente assurdo, votato unicamente alla risata e al nonsense delle azioni da compiere. Proprio come fosse un cartone animato. O meglio un fumetto.
Eppure non puzzava di già visto!
Già, perché Sam & Max è effettivamente una saga a fumetti scritta e disegnata da Steve Purcell, un personaggio che a mia insaputa aveva messo lo zampino in tutte le avventure Lucas che avevo giocato. Infatti Purcell mise la propria firma in molti dei fondali visti in Monkey Island, e i suoi due personaggi apparivano in quasi tutte le avventure, nascosti in qualche costume, in qualche quadro o in qualche totem. Era inevitabile un gioco tutto suo!

Ovviamente il ricordo che ho del gioco è molto positivo e la grafica cartoonesca già vista in Day of the Tentacle accompagnata divinamente da divertentissimi filmati, ben si addiceva allo stile su cui si era indirizzata tutta la produzione.

Le musiche, meno memorabili dei precedenti titoli, giocavano su ritmi ambient, a tratti tribali, forzate sempre a sottolineare un clima scanzonato, senza particolari pretese. Brani che avrei tranquillamente associato a Theme Hospital e Theme Park, o ai più recenti FarmVille e CityVille.
Perché non fanno remake di questi giochi invece di darci FarmVille?
L'ottimo doppiaggio e la simpatia dei personaggi mi convinsero a portare a termine il gioco e ad adattarmi alle nuove meccaniche di gestione degli eventi, che comunque considero tutt'ora un azzardo evitabile.

Il tutto mi impegnò per alcune settimane, ma alla fine raggiunsi la conclusione senza suggerimenti o aiuti, il che mi galvanizzò molto. Nonostante tutto, Sam & Max Hit the Road è l'unico titolo Lucas che non ho mai rigiocato, nonostante i vari sottogiochi piuttosto divertenti che venivano offerti (battaglia navale, schiaccia la talpa, etc.). Una sorte che probabilmente non meritava.
Gli apprezzabili sottogiochi
Nella prossima puntata:
Non avevo ancora portato a termine Sam & Max che alla Megabyte Informatica era già arrivata una nuova avventura che non potevo perdermi: Full Throttle!

BONUS MUSICALE:
Verso la fine del gioco il cattivone di turno canta una pezzo country divertente e molto piacevole (a partire dal minuto 6:22):