Nella seconda metà degli anni 90 l'hardware Neo Geo si avviava inesorabilmente verso l'obsolescenza, ma SNK non si perse d'animo, tutt'altro. Sfruttando i punti di forza della macchina - in primis l'enorme quantità di memoria disponibile per le animazioni 2D grazie ai famigerati cartuccioni - la casa nipponica riuscì a mettere a segno un discreto numero di colpi di coda memorabili. Art of Fighting 3 fu una delle note di questo canto del cigno, forse non la più riuscita, ma sicuramente una delle più particolari, col suo essere a tutti gli effetti un picchiaduro 3D reso in due dimensioni.

Per rispondere al motion capture che in quegli anni rappresentava la novità nelle animazioni di serie come Virtua Fighter e Tekken, Art of Fighting 3 fece largo uso del rotoscoping, un vero e proprio motion capture bidimensionale che assicurò animazioni fluidissime ai giganteschi sprite del gioco. Le similitudini però andavano più in profondità: in Art of Fighting 3 si ritrovavano tutti gli elementi tipici del gameplay dei picchiaduro tridimensionali, quali dial combo (le combo effettuabili premendo determinati pulsanti in sequenza), forte tendenza al juggling (il colpire l'avversario mentre è in aria facendolo "rimbalzare"), colpi con l'avversario a terra, contromosse, e importanza relativamente minore dei salti.

Tutto ciò senza comunque rinunciare alle mosse speciali tipiche delle produzioni a due dimensioni - fireball incluse - e ai tratti distintivi della serie, come la barra dello "spirito" (necessario per eseguire qualsiasi special) e le varie super/desperation combo. Insomma, un gameplay 3D, ma con radici ed echi bidimensionali, che sotto certi aspetti ricorda un po' certi Mortal Kombat tridimensionali, per quanto in questo caso l'esperimento sia decisamente più riuscito. Da riscoprire.