I videogiocatori più attempati ricordano con un po' di brividi lungo la schiena la grande crisi che colpì il mercato dei videogiochi nel 1983. Simbolo di questa crisi è rimasto il gioco di E.T. per Atari VCS, titolo leggendario che è universalmente considerato come uno dei più brutti videogame di sempre. E qualcuno è ancora alla ricerca delle tonnellate di cartucce di E.T. e di Pac-Man che Atari seppellì in una discarica.

Ma che c'azzecca tutto ciò con l'Amiga? Jeremy Reimer di Ars Technica risponde a questo ed altro in questo post della serie A History of the Amiga, come sempre  recuperabile anche in forma originale qui.

NATA CONSOLE, MA COL CUORE DI UN COMPUTER

Le console da gioco ed i personal computer non sono così diversi al loro interno. Entrambi usano una central processing unit come loro motore principale (l'Apple ][, il Commodore 64 e l'Atari 400/800 usavano tutti il 6502, la stessa CPU delle prime console Nintendo e Sega). Entrambi permettono l'input dell'utente (tramite tastiera e mouse nei computer, e tramite joystick e gamepad nelle console) ed entrambi mostrano il loro output su un dispositivo per la visualizzazione della grafica (un monitor o una TV). La differenza principale sta nell'interazione con l'utente. Le console permettono di fare una sola cosa - giocare - mentre con i computer l'utente può anche scrivere lettere, gestire i bilanci delle proprie finanze o arrivare a creare i propri programmi. I computer costano di più, ma fanno anche di più. Non era così impossibile immaginare che la nuova console Hi-Toro potesse essere opzionalmente espandibile per diventare un vero e proprio computer.

Tuttavia, gli investitori non erano portati a vederla allo stesso modo. Volevano fare soldi, e all'epoca i soldi che giravano intorno ai videogiochi rendevano insignificante il giro di affari esistente intorno ai computer. Jay e i suoi colleghi si accordarono per progettare il loro nuovo hardware in modo che sembrasse un'unità per giochi, nascondendo in maniera astuta la possibilità di espanderlo per farlo diventare un computer vero e proprio.

Questa fu una di quelle decisioni che, col senno di poi, sarebbero potute sembrare frutto di un'incredibile intuizione. All'epoca in realtà fu una decisione eminentemente pragmatica - gli investitori volevano una console da giochi, la nuova società aveva bisogno di Jay Miner, e Jay voleva progettare un nuovo computer. Questo compromesso permise a ognuno di ottenere ciò che voleva. Nel frattempo però si stavano verificando degli eventi che portarono questa scelta a rivelarsi fondamentale per la sopravvivenza stessa della società.

IL CRASH DEI VIDEOGIOCHI

Come tutte le grandi crisi, anche quella che colpì il mercato dei videogiochi nel 1983 si sarebbe potuta facilmente prevedere - una volta verificatasi. Con la crescita esponenziale delle vendite delle console casalinghe e dei videogiochi, le società cominciarono a credere che le possibilità di guadagno fossero illimitate. I dirigenti del marketing Atari arrivarono a dire di poter "cagare in una scatola e venderla". E inevitabilmente, ciò fu esattamente quello che accadde.

C'erano troppe società di software che producevano troppi giochi per l'Atari VCS e le altre console concorrenti. La qualità dei giochi ne soffriva, e le limitazioni tecnologiche della prima generazione di macchine videoludiche cominciavano a diventare insormontabili. Una programmazione intelligente poteva spingere l'hardware solo fino ad un certo punto. Oggi si sa che ogni nuova generazione di console ha un ciclo vitale limitato, e si programma il rilascio delle nuove piattaforme hardware non appena le vecchie cominciano ad avviarsi sul viale del tramonto. All'epoca, tuttavia, l'industria era così nuova che non si era ancora compresa l'andatura simil sinusoidale della domanda di mercato per le piattaforme da gioco. Ci si aspettava semplicemente che le vendite continuassero a crescere all'infinito.

Proprio come nel caso della bolla delle dotcom alla fine degli anni '90, si raggiunse un punto in cui l'entusiasmo iniziale fu rimpiazzato dalla pura follia. Questo punto può essere identificato con precisione con il rilascio di un nuovo gioco per l'Atari VCS nel tardo 1982, rilascio programmato per coincidere con quello di un nuovo blockbuster cinematografico: E.T. l'extra-terrestre.
Il gioco che mise fine ai giochi
Atari pagò milioni di dollari per ottenere la licenza del film, ma i dirigenti del marketing vollero che il gioco fosse sviluppato e messo in produzione in sei settimane. Il software è come il vino - quello buono ha bisogno di tempo. Il gioco che i programmatori Atari riuscirono a realizzare fu al massimo una bottiglia di aceto cattivo. Era ripetitivo, frustrante e non si poteva esattamente definire "divertente". I dirigenti Atari, tuttavia, non se ne resero conto. Coronarono il loro sbaglio ordinando che delle cartucce del gioco ne fossero prodotte cinque milioni, che era quasi il numero totale di console VCS esistenti all'epoca. Ma la follia non si fermò qui. Per il rilascio di Pac-Man, Atari produsse addirittura più cartucce di quante console VCS esistessero per farcele girare!

Un manager del marketing Atari fu interrogato a proposito di questa disparità, e la sua risposta espresse chiaramente il suo totale distacco dalla realtà. Disse che le persone avrebbero potuto voler comprare due copie: una per casa, ed una per la villa delle vacanze!

Invece che due, la maggior parte della gente decise di comprarne zero copie. Atari (e quindi la Warner) registrò enormi perdite in quell'anno e fu costretta a cancellare dal bilancio la maggior parte del suo inventario di cartucce VCS invendute. In una famosa cerimonia decine di migliaia di cartucce di E.T., di Pac-Man e di altri giochi furono seppellite e schiacciate da un bulldozer in una discarica per scarti industriali.

Il disastro di E.T. fu l'esatto momento in cui la bolla scoppiò. Milioni di ragazzini nel mondo decisero all'unisono che Atari e, per estensione, tutte le console non erano più "cool". Le vendite di tutti i sistemi da gioco e del relativo software crollarono. Improvvisamente, i finanziamenti per le società di ventura nel settore videoludico svanirono.

Intanto le vendite dei personal computer continuavano ad aumentare stabilmente. Sistemi come l'Apple ][, il Commodore 64, ed anche il nuovo IBM PC aumentavano di popolarità in ambito casalingo. I genitori potevano giustificare la spesa maggiore con il fatto che quei sistemi erano anche educativi, mentre i loro figli erano felici perché questi piccoli computer potevano anche far girare dei giochi.

Questa situazione fece da prologo ad un fatidico incontro. I nervosi investitori della Hi-Toro, guardando il mercato dei videogiochi sgretolarsi davanti ai loro occhi, chiesero ansiosamente a Jay Miner se sarebbe stato possibile convertire la nuova console in un vero e proprio personal computer. Immaginatevi il loro sollievo quando Jay gli disse che era quello che aveva programmato fin dall'inizio!

Rimaneva un solo problema: il nome della società. Qualcuno fece un rapido controllo e scoprì che il nome Hi-Toro apparteneva già ad una società giapponese che produceva tagliaerba. Jay voleva che il suo nuovo computer fosse al tempo stesso amichevole e seducente. Suggerì "Amiga", la parola spagnola per "amica". Forse non fu neanche una coincidenza il fatto che la parola "Amiga" sarebbe apparsa prima di "Atari" negli elenchi telefonici! In principio Jay non era troppo soddisfatto del nome, però, dato che nessuno degli altri impiegati riuscì a pensare a qualcosa di meglio, rimase quello.

Ora tutto era al proprio posto. I giocatori erano pronti, e la partita stava per iniziare.

Il sogno stava diventando realtà.

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