Stuart Campbell si è fatto un nome in UK negli anni 90 scrivendo su riviste come Your Sinclair e Amiga Power - riviste che all'epoca creavano non pochi grattacapi ai publisher, a causa di recensioni mai troppo benevole o accondiscendenti. Recensioni che d'altro canto erano però molto curate dal punto di vista formale - spesso i collaboratori venivano assunti più per le loro doti con la parola scritta, che per la loro conoscenza del panorama videoludico, secondo l'assunto che fosse più semplice imparare chi era chi nel mondo dei giochini piuttosto che imparare a scrivere.

Oggi non esistono più né Your SinclairAmiga Power, ma molti ex redattori continuano la loro carriera in varie modalità - c'è chi ha scritto libri che sono diventati best seller, chi ha continuato a lavorare nell'editoria videoludica, e chi, come Stu, s'è fatto il sito. Chi vi scrive su tale sito ci è capitato per caso, e tra le tante robe interessanti è rimasto colpito in particolare da questa intervista rilasciata dallo stesso Stu e da lui ripubblicata nel suo blog.

Nell'intervista Stu parla senza peli sulla lingua di cosa va e cosa non va - secondo lui - nel giornalismo videoludico attuale e nell'industria dei videogiochi in generale: una lettura molto interessante, che ho pensato potesse essere tale anche per chi non mastica troppo l'inglese, e così, dopo aver chiesto il permesso all'autore (che ha risposto con un lapidario "Yeah, that's no problem"), eccola tradotta in italiano qui di seguito.

Allora Stu, che fine hai fatto dopo le vicissitudini della Future (la casa editrice di Your Sinclair e Amiga Power - BrunoB)?

Ho spacciato eroina ai bambini all'uscita da scuola. Ti dà da vivere.

E il giornalismo d'inchiesta prima o poi scoverà qualche collegamento tra Future e Afghanistan
Come hai iniziato a scrivere di videogiochi?

Ho iniziato perché volevo i giochi gratis. Ero un giovane disoccupato, vinsi un Atari ST in un concorso e, non potendo permettermi di comprare giochi a 25 sterline l'uno, fondai una fanzine ("Between Planets", per Atari ST e ZX81) così avrei potuto continuare a ricevere robe gratis. Se avessi saputo allora ciò che so oggi, non avrei fatto tanta fatica e avrei continuato a fare affidamento sulla buona vecchia pirateria.
Il perfido ST aveva fatto un'altra vittima
Visto che ormai sono una o due decadi che scrivi di videogiochi, fammi un confronto tra com'era l'editoria videoludica negli anni 90 e com'è adesso.

Beh, tanto per cominciare ai vecchi tempi non avremmo detto "una o due" decadi. Cioè, non sei in grado di dire da quanto tempo lavora la persona oggetto del tuo articolo, neanche approssimando alla DECADE più vicina? Bah. I giovani d'oggi. In effetti è da poco che fanno più di 20 anni che scrivo, ed il cambiamento più grande che ho notato è il modo in cui chi scrive si identifica e si allinea. Oggi praticamente tutti i giornalisti videoludici che vedo in giro si considerano parte dell'industria, cosa che onestamente trovo deprecabile.

Quando ho iniziato - e sicuramente è per questo che ho iniziato - chi scriveva si vedeva al servizio dei propri lettori, per proteggerli dai publisher che cercavano di rubargli i soldi vendendogli giochi schifosi. Oggi mi sembra che molti si vedano piuttosto al servizio dei publisher, e che abbiano anche un qualche interesse nello spingere la gente a comprare quanti più giochi possibili. Lentamente, nel lungo periodo di tempo dagli anni 80/90 ad oggi, i giornalisti sono riusciti a convincersi che ci sia qualcosa di onorevole in tutto ciò. Ma sbagliano.

La situazione attuale è dovuta, da una parte, al fatto che i giornalisti, semplicemente, hanno abdicato alle proprie responsabilità, giustificandosi con l'idea che grazie all'ampia disponibilità di demo, di video su YouTube e così via, i consumatori possono prendere le proprie decisioni da soli senza ascoltare la critica (e certamente c'è un fondo di verità in questo: nei primi anni 90, quando internet - per quanto oggi possa suonare inimmaginabile - in pratica non esisteva, le riviste che non avevano una cassetta o disco o CD demo attaccato alla copertina erano in buona sostanza fuori dai giochi).

In questo scenario è facile pensare che sia ok diventare parte del business del marketing, e se qualcuno è abbastanza stupido da dare ascolto a te piuttosto che farsi un'opinione da solo, è un problema suo.

L'altro lato della questione consiste nel fatto che i giornalisti tendono a fare - ragionevolmente - il proprio interesse, e anche ciò che è o non è nell'interesse del giornalista è qualcosa che è cambiato da quando iniziai io. All'epoca la maggior parte del management dei publisher delle riviste proveniva dai ranghi dello staff editoriale. Adesso la vasta maggioranza proviene dal lato marketing, il che significa che ci sono poche possibilità di far carriera per uno che scriva e basta. Se riesci a passare da semplice scrittore di articoli a editor è probabile che ti fermerai lì, e con un salario non proprio entusiasmante. L'unico modo per progredire ulteriormente consiste nello spostarsi nello sviluppo dei giochi o nell'ambito delle PR, e per fare ciò sarà meglio che non ti sia bruciato troppi ponti nel frattempo.
Industria e giornalismo, again
Cosa pensi sia successo allo stile di scrittura (recensioni "concettuali" e così via) che fu proprio di Amiga Power e dei primi numeri di PC Zone?

Penso che - riprendendo quanto appena detto - la posizione dell'editor sia stata occupata sempre più frequentemente da persone interessate solo a far carriera, e quindi meno tolleranti verso quel tipo di approccio non-standard.

Tra la carta stampata e internet, quale media si presta di più ad uno scrivere di qualità sui giochi?

Tutto dipende dal personale e dalla metodologia impiegati. Non c'è nessuna ragione, per esempio, per cui i media online non debbano usare dei sub-editor, che sono uno degli elementi chiave per creare quella sorta di carattere coerente che rese riviste come Your Sinclair ed N64 così amate, e che non ho ancora ritrovato in nessun sito di videogiochi.

Internet ha reso possibile fare quel tipo di cose che sono state ampiamente eradicate dalla carta stampata (vedi sopra), ma questa opportunità è stata colta solo in casi rari, e tali casi sono esponenzialmente più difficili da trovare in mezzo agli oceani di spazzatura che inevitabilmente si formano quando una qualsiasi occupazione prima relegata a professionisti viene democratizzata.

Le barriere d'entrata sono una cosa buona, e a ragione. Nessuno si fiderebbe di un qualsiasi fesso di quindici anni arrivato da internet per farsi aggiustare i tubi di casa, per cui perché dovrebbe fidarsene nel caso che scriva di videogiochi?
Vi fidereste di uno così per farvi riparare le perdite dei tubi di casa?
Qual è la tua opinione sui sistemi di giudizio nelle recensioni? Qual è il più utile? Cinque stelle, percentuali, etc.

Se implementato correttamente - cioè, in modo che in ogni momento si punti ad avere all'incirca lo stesso numero di giochi in ogni punto della scala - un punteggio in decimi è probabilmente quello con meno difetti.

Parlami degli aspetti peggiori del giornalismo videoludico moderno.

Come già detto, il credere di essere parte dell'industria, e quindi l'essere responsabili nei confronti di quest'ultima piuttosto che verso i propri lettori.

E i migliori?

La straordinaria profondità che è possibile raggiungere analizzando un gioco senza avere le costrizioni di uno spazio-pagina predeterminato.

Parlami della tua passione per Apple.

Apple è fatta di malvagità, e dovrebbe essere processata per crimini di guerra già solo per la versione PC di iTunes. Ma i videogiochi sull'App Store (e anche, in varia misura, su XBLA, XBIG, PSN e in passato su DS) racchiudono, tipo, tutti gli aspetti migliori dei primi anni dei videogame, ma con una grafica migliore, senza tempi di caricamento e a prezzi più bassi - MOLTO più bassi - di quanto non fossero nel 1982.

In almeno 99 casi su 100, i giochi migliori - e le robe migliori in generale - derivano dalla visione di una singola persona (o di un piccolo team), piuttosto che dall'essere prodotti da 500 persone sparse per metà di un continente che seguono le specifiche del dipartimento marketing, specifiche derivate da ore di focus group composti da idioti. La varietà, l'inventività e la creatività dei videogiochi iOS è assolutamente strabiliante, e l'accessibilità del tutto - sia per i creatori che per i consumatori - è poco meno che utopica.

(C'è la bizzarra idea che sia dispendioso entrare in questo mondo, ma quando un iPod entry-level costa lo stesso di un DS o di una PSP, e quando si tiene conto anche del costo dei giochi, non si può che concludere che l'iPod sia il formato portatile di gran lunga più economico).

Per gli sviluppatori, il lasso di tempo che intercorre dall'idea scritta sul retro di un biglietto alla sua piena realizzazione di fronte a 100 milioni di potenziali compratori può essere nell'ordine del paio di settimane, e puoi letteralmente fare milioni chiuso nella tua stanza (il che è strettamente legato ad un altro enorme progresso rispetto agli anni 80, e cioè che i creatori stavolta si tengono la fetta più grossa del ricavato). Parliamo di un modo di fare videogiochi pressocché senza limiti e quasi senza nessun'altra figura nel mezzo.

Al contrario, l'industria autoproclamatasi "mainstream" ha all'incirca 20 figure di raccordo per ogni persona il cui lavoro sia di inventarsi idee per i videogiochi, il che è il motivo per cui oggi si vedono più o meno solo sei tipi di giochi sui formati "adulti" - Marine Spaziali Grigi 12, Gioco Di Corse Urbane Cool Per Ragazzi Prepuberi, Non Era Fantastica La Seconda Guerra Mondiale? Parte XXVIX, Party Con Costosi Strumenti Di Plastica Per Musica Soft Metal Anni 80, Fantasia Di Draghi Per Obesi Reclusi Senza Amici 9 - Frarglax's Quest: The Second Wankening e Trasformiamo In Qualche Modo Il Calcio Nella Fottuta Krypton Factory 2011.
Marine Spaziali Grigi 12
Le critiche comunemente fatte ai videogiochi per iPod/iPhone - "Oh, ci sono solo l'app per le scoregge e Flight Control" - tendono a provenire da chi mostra una spettacolare ignoranza dell'argomento e/o da fanboy adolescenti terrorizzati alla prospettiva di essere marginalizzati da un mercato dei videogiochi che diventi davvero mainstream, e cioè che non sia più la loro esclusiva riserva "hardcore".

In effetti, in aggiunta a tutti i giochi dallo stile innovativo che lo caratterizzano, l'App Store offre giochi fantastici per quasi tutti i generi presenti sulle console attuali, ma ad un centesimo del prezzo (per esempio, questa settimana puoi scaricarti l'eccellente Zombie Infection - un clone di Resident Evil 4 - a 59 pence), così come giochi di quei generi che sono stati da tempo abbandonati dall'industria "mainstream" (ad esempio gli shoot'em up arcade ultraintensi come l'immenso Dodonpachi Resurrection di Cave).

Di base, se ti piacciono i videogiochi, o se vuoi semplicemente essere all'avanguardia nel mondo dei videogame per i prossimi cinque anni, e non hai un iPod Touch o un iPhone, sei un povero idiota senza cervello. E puoi anche andare dalla mamma a dirle che ti ho chiamato così.

Perché sei un tale coglione quando si parla di giochi PC?

Perché non me ne frega un cazzo di orchi e simili.
"Eh?"