Il terzo capitolo della saga fu quello della svolta, anzitutto tecnica: l'uso del Phong shading Gouraud Shading finalmente donò ai personaggi delle linee morbide e quella parvenza d'umanità che gli era sempre mancata, e in generale l'impatto visivo del titolo era eccellente. Anche dal punto di vista del gameplay si arrivò a maturazione, e venne fissata la formula che, sostanzialmente immutata, è arrivata fino ai giorni nostri.

Vennero abbandonati i salti che coprivano metà schermo, venne introdotto il sidestep, e il parco mosse dei personaggi, sempre più pachidermico, si arricchì del concetto delle stances, che erano delle posizioni di guardia particolari da cui si poteva sferrare un sottoinsieme specifico di attacchi, novità evidente in Lei Wulong, ma presente anche in personaggi come Hwoarang o Eddy Gordo. A lato (ma neanche tanto) le juggle combos divennero definitivamente la meccanica attorno a cui ruotava tutto il sistema di combattimento.

Tekken 3 era ambientato quindici anni dopo il secondo capitolo, per cui chi era rimasto dei vecchi protagonisti mostrava effettivamente i segni del tempo (fu allora che Heihachi diventò IL NONNO). Tutti i cloni e i personaggi fotocopia vennero segati via, e il risultato fu un roster composto da scelte tutte molto diverse tra loro. Ricordiamo (di nuovo) anche l'introduzione di Eddy Gordo, il paladino dei button masher nabbi di tutto il mondo, ma anche la prima rappresentazione davvero riuscita della capoeira in un videogioco.

Per la versione PlayStation, Namco superò sé stessa, non solo riuscendo a perdere pochissimo dalla versione coin op (che girava su un hardware leggermente più potente), ma anche infarcendola di una caterva di extra, compreso il famigerato Tekken Force. Fu la consacrazione definitiva, per una serie che da lì in poi non avrebbe mai più ritrovato lo stesso successo...


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